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francescofst

ZEN & ZERO = ZENZERO ?


DISCLAIMER

Sullo zero si sono spese più parole di quante per tutti gli altri numeri naturali messi assieme. Che nonostante l’infinità di questo secondo insieme ciò non costituisca un paradosso è conseguenza della finitezza delle facoltà umane, in virtù delle quali ci è impossibile scrivere anche non una sola parola, bensì persino una lettera per ciascuno dei naturali esistenti (ci è persino impossibile scrivere le cifre di cui è composto, da cui la domanda: qual è, alla data in cui scrivo, il numero più grande del quale è stato detto qualcosa?).

Ma torniamo a noi: di chi tenti di dire qualcosa, se non di nuovo, anche solo di “altro” sullo zero, è legittimo ipotizzare il reato di superbia, un peccato capitale. Non mi resta dunque che appellarmi fin da subito alla clemenza della giudice supremo (e del lettore).


Il burocrate che avrei voluto essere siede solitario nel suo ufficio. Indossa pantaloni neri, gilet nero, camicia bianca e manicotti neri per proteggere le candide maniche dall’inchiostro. L’unica concessione alla vanità è data dal farfallino, tuttavia sobrio: rosso porpora e blu o grigio scuro gli unici colori ammessi, e comunque in tinta unita. Alla sua destra giacciono gli strumenti del suo lavoro: lampada da tavolo del tipo “da bancario” rigorosamente in vetro verde, penna, timbro e tampone. Alla sinistra la pila delle pratiche, che non deve “sbrigare”, termine che potrebbe sottintendere ad una conclusione affrettata, arronzata, ma piuttosto “evadere”, vale a dire porre la parola “fine” per l’eternità. Egli pilucca le pratiche una alla volta, pescando, in ossequio al LIFO, dal fondo della pila e, né troppo svelto, né troppo lento, elabora la pratica nei “tempi dovuti”, incessante, inarrestabile e ineluttabile. È una gara di regolarità, non di velocità. Nel tempo, onde evitare le petulanti domande dei richiedenti, ha elaborato una formula che gli permette, visti alcuni dati inerenti la pratica, di calcolare esattamente il tempo necessario per concluderla. La somma delle durate costituisce il tempo per il quale sarà impegnato nei prossimi anni.


Un giorno accade qualcosa: una pratica è annullata e tuttavia non si ritiene di doverla eliminare dalla pila, perché di tutto quanto accade si deve tenere traccia. Si pone allora il quesito: quale durata attribuire all’evasione di una pratica annullata? “Zero”, risponde senza indugio il collega ingegnere [1], che ha imparato la lezione: zero è il numero che misura la quantità nulla, la non-quantità, quindi perfetto allo scopo. La mia domanda era però di natura ontologica: la durata, vale a dire il tempo impiegato, è riferito ad una pratica comunque evasa, esito che non si può affermare di una pratica annullata. Affermazione certo comprensibile a Furio Zoccano, Roberto Casati e ad Achille Varzi [2], ma non ad un ingegnere, al quale destino un contro-argomento più pratico: attribuendo zero, le pratiche annullate andranno comunque ad incidere su qualche valutazione statistica, ad esempio, la durata media per l’evasione delle pratiche. Ad esempio, se di cinquanta, l’evasione dell’unica evasa richiedesse cento giorni e le rimanenti quarantanove fossero annullate, la durata media risulterebbe di due giorni (100 gg / 50 pratiche = 2 gg/pratica), risultato falsato, difforme dall’effettività. Ciononostante l’ingegnere trova subito la soluzione: è sufficiente, nel computo della durata media, scartare le pratiche annullate; in termini astratti, lo traduco come considerare le pratiche annullate come un’eccezione e gestire l’eccezione. Si evoca qui lo spettro delle funzioni parziali, non definite su alcuni elementi del dominio.


Si comprende allora l’importanza dello zero: attribuire al nulla, alla non-quantità un simbolo e le regole per manipolarlo permette di estendere l’applicabilità della somma al caso della non-quantità evitando la necessità di gestire l’eccezione. Se si vuole il numero complessivo degli articoli presenti in un magazzino, è più semplice attribuire “0” agli articoli per i quali la giacenza è nulla che escluderli nell’eseguire la sommatoria. Espediente che trova ampia applicazione in quel “matematica-mente”, il pensare matematico insomma, per il quale è preferibile introdurre nuovi concetti piuttosto di gestire le eccezioni; ad esempio, nelle summenzionate funzioni parziali si possono aggiungere nuovi elementi al codominio pur di rendere la funzione totale, il più esoterico dei quali è il simbolo “⊥” interpretato come “non definito”.


«Ora che conosci il suono del battere di due mani, dimmi qual è il suono del battito di una mano sola?» recita, più o meno, il più famoso dei koan Zen. Anni fa diedi la risposta che il verbo battere presuppone l’uso di due oggetti, il battente e il battuto, quindi la domanda è priva di senso, ma va riconosciuto che la risposta Zen è più elegante: il silenzio. Che così muta la sua natura da non-suono a suono che, quando eseguito assieme ad altri suoni diversi dal silenzio, non ne muta l’effetto, proprio come lo zero. Zero per il quale sarebbe possibile, viceversa, formulare il seguente koan zen: «Ora che hai imparato a contare il numero di mele contenute in questa cassetta, dimmi, quante mele contiene una cassetta vuota?».

È possibile allora associare alla durata delle pratiche annullate un simbolo che non alteri la media? La questiono è curiosa, perché l’unica maniera per non alterare la media è continuare a sommare valori a quella pari; ad esempio, se avete viaggiato per dieci ore alla media di 100 km/h, per non alterare la media nell’ora successiva dovete percorrere esattamente 100 km, il che tuttavia non è sufficiente perché l’aggiunta di un’ulteriore ora rende più difficoltoso discostarsi dalla media! [3]

Nell’attesa di risolvere questa questione, vi lascio con un nuovo koan zen (per gli appassionati di linguaggi formali): «Ora che hai imparato cos’è lo Zen e cos’è lo zero, diresti che zen & zero = zenzero?»


NOTE

  1. Naturalmente non esiste alcun “collega ingegnere” ed il riferimento è qui ad uno dei miei alter ego, uno dei tanti “sé” che contribuiscono al patchwork della personalità di ciascuno di noi; mi guarderei bene dal sottoporre simili questioni ai colleghi ingegneri.

  2. Furio Zoccano è uno dei tre celebri personaggi interpretati da Carlo Verdone nel film “Bianco, Rosso e Verdone”. Meno noti al grande pubblico sono invece Robeto Casati e Achille Varzi, entrambi filosofi, autori di intriganti libri di metafisica “divulgativa” (per chi ritiene l’argomento intrigante, ovviamente). Per il suo legame al concetto di zero, mi riferisco qui a “Buchi e altre superficialità” del quale riporto la descrizione: «Noi tutti parliamo di buchi, li contiamo, li descriviamo e li misuriamo. I buchi potrebbero sembrare oggetti veri e propri: come una pietra o una macchia d'olio. Eppure non appena proviamo a dare una definizione precisa di buco, ci perdiamo nel dubbio e nei paradossi: forse perché evochiamo l'idea di assenza, di vuoto, di nulla. Un concetto che sembrava semplice, che usiamo quotidianamente senza imbarazzo, diventa elusivo, sfuggente, ambiguo. "Buchi e altre superficialità" è un tentativo di prendere sul serio, analizzare e catalogare i diversi tipi di buco. Gli autori utilizzano strumenti di filosofia della percezione, deometria, logica e topologia, ma anche linguistica e letteratura. Un esperimento epistemologico che dimostra come l'esperienza e il linguaggio quotidiani si trasformino quando diventano oggetto di un'indagine filosofica e di una formalizzazione scientifica.».

  3. la media aritmetica di n valori a1, a2, … an, è definita come: m(n)= (a1+ a2+ … +an)/n. Semplici passaggi algebrici permettono di ricavare la formula ricorsiva: m(n+1)= m(n) x n/(n+1) + an+1/(n+1) che mostra come “per n grande”, m(n+1)= m(n) e an+1/(n+1) = 0 , vale a dire che il contributo dei nuovi valori incide sempre meno sui valori precedenti; per inciso, le medie sono apprezzate proprio per la loro stabilità sul lungo periodo. La formula di sopra è anche detta “algoritmo di Knuth” per il calcolo della media: https://statisticaapplicata800375216.wordpress.com/2020/03/25/algoritmo-di-knuth-per-il-calcolo-della-running-mean/

SOLUZIONE

La soluzione elegante, almeno per me, consiste nell’attribuire a ciascuna pratica un peso di valore zero per le pratiche annullate e uno per le altre, e nel calcolare la media ponderata su questi valori. Tale procedura può applicarsi anche alla somma delle singole durate. A tali valori si può dare il significato concreto di “indice dell’impatto della pratica per il burocrate”, cosicché, in maniera elegante e semplice, senza ricorrere a soluzioni ad hoc, da ciascuna formula si escludono senza riferire loro un trattamento ad hoc le pratiche che non hanno impatto sul lavoro di quello.

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