«Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura (accurata oppure approssimativa) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno.»
Isaac Newton, Princípi matematici della filosofia naturale
Quando ero studente capitava spesso che nel tratto tra Firenze e Bologna, dove la ferrovia valica l’appennino tosco-emiliano, qualcuno ad un tratto chiedesse: “quanto manca a Bologna?”. Dopo un po’, si formò in me l’idea che questa domanda nascondesse in sé qualcosa di sbagliato. La risposta attesa era una indicazione sul tempo medio di percorrenza tra l’istante in cui veniva formulata la domanda e quello in cui il treno avrebbe raggiunto la stazione denominata “Bologna Centrale”. Una tale stima, ancorché possibile in linea di principio, era tuttavia inutile, priva di significato, perché le allora Ferrovie dello Stato (come le odierne Trenitalia, che quelle hanno sostituito) erano assolutamente imprevedibili; tutto poteva accadere e la probablità che il treno arrivasse in orario era veramente minima.
Per anni un dubbio mi tormentava, quando domenica, sul predellino dell’ennesimo treno [0] sono stato colto da un’intuizione. Non è nella statistica che risiede l’errore, quanto nella natura stessa del tempo, che – come ho già sostenuto – non esiste.
Forse qualcuno, nell’acquistare un biglietto del treno, crede di sottoscrivere un contratto che garantisca la disponibilità nella stazione di partenza ad una determinata ora di un mezzo di trasporto che ci conduca alla stazione di arrivo ad un’altra ora (fintanto che le ferrovie non si attrezzeranno per i viaggi nel tempo, a quella successiva), tuttavia l’articolo 3 della “Parte I – norme comuni” de “Le condizioni generali di trasporto dei passeggeri di Trenitalia” recita: «Con il contratto di trasporto Trenitalia si obbliga a trasportare i passeggeri, dal luogo di partenza fino al luogo di destinazione, previo pagamento del prezzo previsto.» Dunque solo i luoghi, vale a dire lo spazio, è garantito, non la durata (tempo). La differenza non tanto giuridica, quanto filosofica.
Per misurare il tempo siamo costretti ad utilizzare un qualche fenomeno mutevole, meglio se periodico, ad esempio l’alternarsi del giorno e della notte. Tra due successive albe diremo che è passato un giorno. Confrontando però questa misura con altre effettuate su altri sistemi, un orologio ad acqua, una clessidra o un pendolo meccanico, qualcosa non torna perché la durata dell’intervallo tra due albe successive varia con l’alternarsi delle stagioni. Poiché siamo riusciti a spiegare quella differenza in termini più semplici rispetto al viceversa, abbiamo preferito riferire la misura del tempo ai pendoli meccanici piuttosto che all’alternarsi del giorno e della notte [1]. Poi abbiamo scoperto che anche i pendoli commettono errori, ed abbiamo preferito a queste certe oscillazioni del quarzo o le vibrazioni dell’atomo di Cesio. Un articolo pubblicato su “Le Scienze” il 26 novembre 2016 afferma che: «Due reticoli di atomi di itterbio accoppiati sono il cuore di un nuovo orologio atomico che segna il tempo con una costanza straordinaria: l'instabilità è contenuta in 1,5 parti su un miliardo di miliardi. Il nuovo doppio dispositivo stabilisce un nuovo standard per la misura del tempo …» Newton ne sarebbe stato felice: ci avviciniamo sempre più al suo “tempo assoluto, vero e matematico”. L’argomento del fisico inglese è emblematico di come si sia formata in noi la nozione di tempo: migliorando la nostra misura del tempo, ci avviciniamo sempre più ad un’entità, il tempo appunto, che continua incessantemente a scorrere anche in un universo privo di energia e materia. In altre parole, da qualche parte nelle pieghe dell’universo un orologio cosmico scandisce, senza errore, il tempo. Noi, qui sulla terra, il battito di quel tempo cosmico, con i nostri orologi rudimentali, li possiamo solo approssimare. Idea di un tempo astratto che tuttavia ha un problema: è inaccessibile. Nessuno sa dove risieda e come si possa ascoltare il battito di questo fantomatico orologio cosmico. È appena il caso di evidenziare che un procedimento analogo lo abbiamo sviluppato per formarci l’idea per antonomasia antagonista a quella di tempo, l’idea di Dio.
Le cose stanno altrimenti: nulla vieta di mantenere come orologio di riferimento l’alternarsi del giorno e della notte e spiegare le variazioni rispetto a queste in altri termini. Un simile formulazione delle leggi fisiche non mi risulta sia mai stato proposta, ma in linea di principio è possibile. Il motivo per cui preferiamo riferirci agli orologi atomici è esclusivamente che le leggi della fisica appaiono più semplici se a quelli riferiti, ma tale scelta sottintende motivazioni “economiche” (qui inteso come “risparmiare fatica”), antropiche (nel senso dettate da come piace all’homo sapiens spiegare la Natura), ma non imprescindibili. [2] [3]
E qui torniamo alle Ferrovie dello Stato: quando saliamo su un treno, il nostro “orologio di riferimento” diventa il moto del treno. Cosa facciano gli orologi atomici solidali ai binari non ha alcun valore per noi, perché non influenza i nostri destini. In altre parole, lo scorrere del tempo richiede sempre il riferimento ad un fenomeno reale che, una volta saliti sul treno, ha senso indentificare con la marcia del treno stesso. Noi siamo nella stessa condizione di quegli uomini primitivi che, non avendo a disposizione altri fenomeni cui riferirsi, misuravano il tempo riferendosi all’alternarsi del giorno e della notte, con la differenza che noi siamo consapevoli che laggiù, nelle stazioni di partenza e di arrivo, qualcosa di diverso sta succedendo.
Scelto l’orologio di riferimento, come costruire una scala dei tempi ad esso consona? Il quadrante di un orologio a lancette è diviso in parti uguali perché ipotizziamo che il moto delle lancette sia uniforme. Per verificare che sia veramente uniforme necessiterebbe un altro orologio, ma noi solo quello abbiamo, quindi il ragionamento è circolare e se ne esce solo tramite una convenzione, scelta ancora una volta per motivi di semplicità. Badate che, in questa ottica, la lancetta dei secondi non impiega sessanta secondi per compiere un giro ma, viceversa, il secondo è definito come la durata impiegata dalla lancetta per effettuare un sessantesimo di giro. Prima viene l’angolo, poi il tempo e non viceversa!
Come definire quindi una scala dei tempi per un treno in movimento? La risposta – senza saperlo – l’avevo trovata quando ero studente. Sebbene la domanda “quanto tempo manca a Bologna?” fosse priva di significato, un’altra diversa era invece assolutamente pertinente: “quanto dista Bologna?”. Questo perché la distanza tra il punto in esame e la summenzionata stazione era oggettiva, qui inteso come “indipendente dallo stato di moto del treno” (almeno in ambito non relativistico; in ambito relativistico si potrebbe tuttavia fare riferimento alla distanza propria misurata lungo i binari), sia di marcia o di quiete, mentre il tempo dipendeva proprio da quello. Giunti alla stazione di Grizzana, alla domanda allora “Quanto tempo manca a Bologna?” l’unica risposta è possibile è: “ventinove chilometri”. “Va bene”, avrebbe risposto l’interlocutore, “ma quanto tempo impiega il treno per percorrere questi ventinove chilometri?”. “Dipende dalla durata che lei intende associare ad un chilometro; se, ad esempio, lei vuole associarle un minuto, allora mancano ventinove minuti”. Consultando www.thetrainline.com egli legge invece che il tempo medio di percorrenza è di 41 minuti e mi chiede quindi ragione della differenza. “Non so quale orologio sia stato utilizzato per misurare quel tempo, ma sono pronto a scommettere che è sbagliato. La mia, al contrario, è una risposta esatta. Quando il treno entrerà nella stazione di Bologna saranno trascorsi esattamente 29 chilometri, ne uno di più, ne uno di meno. Cosa segnino gli orologi atomici solidali con la stazione non è dato di saperlo e il motivo di tale discrepanza è al di là della mia capacità esplicativa.”
L’intuizione più geniale, tuttavia, l’ho avuta stasera, a quasi trent’anni di distanza, di nuovo sul predellino, stavolta in discesa. Se, come io sostengo, il tempo non esiste e gli orologi sono tutti equivalenti, affinché i treni arrivino in orario è sufficiente sincronizzare gli orologi secondo l’orario previsto da Trenitalia: quando un treno arriva in una stazione, tutti gli orologi di quella città saranno, riportati indietro all’orario di arrivo del treno il quale quindi sarà arrivato in orario per definizione. Non ho fatto tutte le verifiche, ma ho ragione di credere che, fintanto che lungo i binari un treno non ne superi un altro che lo precede, questa scelta non violi nessuno dei paradossi del tempo. E finalmente anche in Italia si potrà dire, come in Svizzera, che la puntualità delle ferrovie è tale che “ci puoi rimettere l’orologio”! [4]
NOTE
[0] Il riferimento è a Poincaré: «Nel momento in cui mettevo piede sul predellino, mi venne in mente, senza che nulla nei miei pensieri precedenti sembrava avermi preparato, che le trasformazioni che avevo usato per definire le funzioni fuchsiane erano identiche a quelle della geometria non euclidea. Non ho controllato, non ne avrei avuto il tempo perché, appena sull'autobus, ho ripreso la conversazione iniziata, ma ho sentito una perfetta certezza. Di ritorno a Caen, ho verificato il risultato a mente serena per scrupolo di coscienza.» [Poincaré 1908a]
[1] A meno che non siate ebrei. Mi risulta infatti che il giorno ebraico abbia inizio al tramonto, a partire dal quale cominciano le dodici ore notturne, fino all’alba, quando cominciano le dodici ore diurne. La durata delle ore del giorno varia dunque al mutare delle stagioni. Nel senso da me sopra spiegato, questa scelta non solo non è sbagliata, ma si meglio si confà al periodo in cui l’alternarsi del buio e della luce scandivano l’esistenza degli uomini.
[2] Per convincervi di quanto ho appena sostenuto, riporto qui una pagina tratta da uno dei libri che più adoro: “An introduction to the philosophy of Physics”, Rudolf Carnap, Dover Publications (ne esistono diverse versioni, di cui una anche in italiano, reperibile presso la Biblioteca Civica di Bolzano);
[3] La questione inerisce ovviamente la variabile t che compare nelle equazioni del moto e che chiamiamo “tempo”. Al tempo misurato da quale orologio si riferisce quella variabile? Non certo alle durate misurate dagli orologi reali, comunque imprecisi. Se le equazioni del moto sono rappresentative di un qualche comportamento insito nella Natura, deve allora esistere un tempo “matematico”, che scorre senza alcun riferimento ad alcunché di concreto. Se, come me, credete invece che la matematica sia solo uno strumento mirabile per costruire modelli della realtà, la quale tuttavia è completamente all’oscuro dell’esistenza di questi modelli, la variabile t è solo un’invenzione, efficacissima, ma pur sempre un’invenzione. Non ricordo dove, avevo letto l’interessante interpretazione che lo “scolio” di Newton concernesse proprio i dubbi che il filoso inglese nutriva nelle conseguenze che un cambio della varabile temporale, del tipo t’ = f(t), avrebbe comportato sulle equazioni del moto, ma non ricordo la conclusione.
[4] Non ho assolutamente idea di come, prima dell’avvento della possibilità di trasmettere segnali a distanza, città diverse potessero sincronizzare tra loro gli orologi, tuttavia ho ragione di credere che, entro certo limiti, gli errori commessi non fossero così importanti. Nel suo libro “Gli orologi di Einstein, le mappe di Poincaré. Imperi del tempo” (Raffaello Cortina, 2004) Peter Galison sostiene che il problema della sincronizzazione degli orologi tra città diverse divenne rilevante proprio con l’avvento delle ferrovie. Secondo lo stesso autore, studiare i sistemi allora adottati durante il periodo in cui fu impiegato presso l’ufficio brevetti di Berna sarebbe stato di stimolo per Albert Einstein per la sua teoria della relatività ristretta.
Sono d'accordo con Te. Il tempo non esiste. Ne ho avuto la dimostrazione durante la mia recente permanenza in Pakistan. Qui passato e presente coincidono perfettamente e nessuno - diversamente da noi europei - proietta se stesso in un ipotetico futuro. In altre parole, come ben dimostri cercando la risposta alla domanda "quanto manca a Bologna?", la principale ragione per la quale cerchiamo di determinare una qualche misura di quello spazio delle relazioni che chiamiamo tempo è quel sentimento specifico che potremmo definire, in estrema sintesi, aspettativa per quel che sarà. Chi non lo possiede, vive in un eterno presente, vive nello spazio delle relazioni che abita, ovvero non prova alcun bisogno di misurare l'intervallo tra ciò che è stato…