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francescofst

LINGUAGGIO OGGETTO, METALINGUAGGIO E MATTEOLINGUAGGIO

Aggiornamento: 11 apr 2021


Avvertenza: questo post non tratta di politica, quindi tutti coloro che sperano di trovarvi commenti pro o contro o, peggio, intendono commentare pro o contro Matteo Salvini sono pregati di passare otre.


«… Il rosso è rosso, il bianco è bianco e se qualcuno, per motivi ideologici, afferma che il rosso è bianco, allora mente.». Più o meno queste le parole pronunciate da Matteo Salvini, che subito hanno risvegliato l’appassionato di logica che c’è in me. Tolto infatti il riferimento ai “motivi ideologici”, l’argomento è squisitamente logico. Esula non solo dalle convinzioni politiche di chicchessia, ma anche dai fatti, ad esempio il colore assegnato ad una determinata regione. Lecito (obbligatorio?) allora chiedersi: è un argomento valido?


Ad Aristotele va il merito di aver compreso che la validità di un argomento dipende esclusivamente dalla forma, dallo schema dell’argomento e non dalla fattispecie di cui tratta. Una scoperta che ha inaugurato una disciplina antica di duemila anni: la logica.

Applicando il metodo (aggiornato) dello Stagirita, possiamo tradurre l’argomento in:

1° Premessa: A è A;

2° Premessa: B è B;

Conclusione: l’affermazione “A=B” è falsa.


In questa forma l’argomento non è valido, e lo dimostro con un controesempio: sostituendo “bianco” con “red” si ha: «… Il rosso è rosso, il red è ro red e se qualcuno, per motivi ideologici, afferma che il rosso è red, allora mente.» offendendo così i professori di lingua inglese. Per questo è necessario aggiungere una terza premessa, vale a dire:

3° Premessa: A≠B

ma se inseriamo questa, le prime due sono superflue, poiché da “A≠B è vera” discende, per definizione del simbolo “”, che A=B è falsa [1]. Immagino dunque che le prime due premesse fossero un artificio retorico per affermare la più prosaica «… Il rosso è diverso dal bianco e se qualcuno, per motivi ideologici, afferma che il rosso è uguale al bianco, allora mente.».


Esercizio: se sostituiamo “il bianco” con “un colore” [2] si ha: «… Il rosso è rosso, un colore è un colore e se qualcuno, per motivi ideologici, afferma che il rosso è un colore, allora mente.». In questo caso mi pare che la nozione astratta di “colore” differisca da quella di uno “specifico colore” (il rosso appunto), ciononostante l’argomento non è corretto, poiché il rosso è un colore. Per quale motivo?


Rimaniamo tuttavia sulle due espressioni «Il rosso è rosso, il bianco è bianco»; si tratta di ovvietà sulle quali non vale la pena neppure soffermarsi? Non proprio, infatti alcuni filosofi hanno sentito la necessità di introdurre uno specifico principio, il principio di identità, secondo il quale ogni cosa è uguale a sé stessa e le frasi di cui sopra ne sarebbero solo un esemplificazione. [3]


ATTENTI ALLE VIRGOLETTE!

Supponiamo ora che Salvini avesse affermato «… Il “rosso” è rosso, il “bianco” è bianco e se qualcuno, per motivi ideologici, afferma che il “rosso” è “bianco”, allora mente.». E forse lo ha fatto, visto che in italiano le virgolette non cambiano l’intonazione della frase.


Le virgolette introducono una notevole differenza tra i due termini: quello tra virgolette indica il nome, mentre quello senza virgolette l’oggetto o il concetto che il nome denota. La differenza balza all’occhio nel momento in cui si utilizzi un nome in una lingua straniera, ad esempio «”red” è rosso, “white” è bianco e chiunque affermi che “red” è uguale a “white” mente» [4]. In base a tale convenzione, la frase «… Il “rosso” è rosso» si interpreta come «Il termine “rosso” denota il colore rosso».


Nel 1933 il logico polacco Alfred Tarski, nell’intento di stabilire quando una determinata proposizione può essere considerata vera, prese in esame la frase:


« The sentence "snow is white" is true if, and only if, snow is white. »

«L’affermazione “la neve è bianca” è vera se e solo se la neve è bianca.» [5]


Le virgolette giocano un ruolo essenziale infatti … ma lasciamo che sia il logico polacco a parlare: «Let me point out that the phrase "snow is white" occurs on tile left side of this equivalence in quotation marks, and on the right without quotation marks. On the right side we have the sentence itself, and on the left the name of the sentence. Employing the medieval logical terminology, we could also say that on the right side the words "snow is white" occur in suppositio formalis, and on the left in suppositio materialis. It is hardly necessary to explain why we must have the name of the sentence, and not the sentence itself, on the left side of the equivalence. For, in the first place, from the point of view of the grammar of our language, an expression of the form "X is true" will not become a meaningful sentence if we replace in it 'X' by a sentence or by anything other than a name -- since the subject of a sentence may be only a noun or an expression functioning like a noun. And, in the second place, the fundamental conventions regarding the use of any language require that in any utterance we make about an object it is the name of the object which must be employed, and not the object itself. In consequence, if we wish to say something about a sentence, for example, that it is true, we must use the name of this sentence, and not the sentence itself. » [6]


L’introduzione delle virgolette non è tuttavia un mero esercizio di stile. Ipotizziamo di costruire un linguaggio che contenga i nomi di una serie di oggetti concreti (la neve, il carbone, …), un elenco di colori (rosso, bianco, nero, …) e la copula “è”. Proposizioni ben formate in questo linguaggio sarebbero:

a) La neve è bianca;

b) La neve è rossa;

c) Il carbone è nero.

Tarski dimostra che se a questo linguaggio aggiungiamo anche i nomi di quelle proposizioni e i termini “vero” e “falso” il rischio è di incorrere nel “paradosso del mentitore” [7], per il quale non è possibile stabilire il valore di verità o falsità. Si devono dunque introdurre due linguaggi: il primo, detto linguaggio oggetto, è quello di cui sopra, mentre il secondo, detto metalinguaggio è quello che “serve per parlare del primo” e contiene la nozione di verità. Con le parole di Tarski: « Since we have agreed not to employ semantically closed languages [si legga: non vogliamo incorrere in paradossi N.d.A.], we have to use two different languages in discussing the problem of the definition of truth and, more generally, any problems in the field of semantics. The first of these languages is the language which is "talked about" and which is the subject matter of the whole discussion; the definition of truth which we are seeking applies to the sentences of this language. The second is the language in which we "talk about" the first language, and in terms of which we wish, in particular, to construct the definition of truth for the first language. We shall refer to the first language as "the object language," and to the second as "the meta-language."».


La fallacia del linguaggio naturale, quello con cui ci esprimiamo tutti i giorni, risiede proprio nel confondere i due livelli, motivo per il quale al suo interno è possibile formulare proposizioni indecidibili come il paradosso del mentitore.


Se digitate "Tarki quotation" su Google, vi compare, tra le altre, « The sentence "snow is white" is true if, and only if, snow is white. ». Immagino lo stupore di chi, ignaro di logica e semantica, legga che una frase così apparentemente banale sia da menzionare tra le citazioni di una persona, quando di solito vi sono pensieri ben più altisonanti. Ebbene, a partire da quella frase, recuperando quella che era concepita come una curiosità, una patologia della logica classica, Alfred Tarski introduce la distinzione tra i due linguaggi, distinzione che costituisce un cardine della logica moderna.


Tutto ciò detto, la nuova domanda obbligatoria è: Matteo Salvini si è espresso nel linguaggio oggetto o nel metalinguaggio? Non vale rispondere "Matteolinguaggio" !


NOTE

[1] il simbolo “≠” è solo una abbreviazione della più lunga ¬ (A=B) o, a parole, la negazione di A=B


[2] la trasformazione dell’articolo da determinativo a indeterminativo è ininfluente nel seguito.


[3] È lecito chiedere come sia possibile che una cosa sia diversa da sé stessa. Questo perché la logica classica è “atemporale” e si potrebbe dire che “le cose sono date una volta per tutte”. In un’ottica dinamica le cose stanno altrimenti: in istanti diversi A rimane uguale a sé stesso oppure si tramuta in “non A”? La questione è antica come la filosofia se è vero che di questo abbiano dibattuto Parmenide ed Eraclito.

Il primo degli assiomi dell’uguaglianza introdotta nella logica del primo ordine è che essa deve godere della proprietà riflessiva, vale a dire A=A. Si tratta dunque della traduzione in linguaggio formale del principio di identità, sebbene qui abbia un significato diverso, sul quale non mi posso soffermare.


[4] L’altro esempio tradizionale che illustra la differenza tra nome e cosa dal nome denotata è: «Cesare conquistò la Gallia» e «”Cesare” è formato da sei lettere»


[5] L’articolo originale è in polacco; nel seguito mi riferirò quindi ad un articolo del 1944, “The Semantic Conception of Truth and the Foundations of Semantics”. che potete trovare in rete all’indirizzo The Semantic Conception of Truth: and the Foundations of Semantics (ualberta.ca) .


[6] La questione è perlomeno arzigogolata. Innanzitutto, si osservi che la nozione di “verità” si applica ad una proposizione non ai fatti reali, i quali svolgono invece il ruolo di confermare o smentire quell’affermazione. È questa la teoria corrispondentista, anch’essa formulata per la prima volta dallo Stagirita, e che direi di “buon senso”: un’affermazione è vera quando è confermata dai fatti. Seguendo “la neve è bianca” non è la proposizione stessa, quanto il suo nome; se la chiamassimo “Mario” l’affermazione del logico polacco diventerebbe:


« Mario è vera se, e solo se, la neve è bianca.»


Di nuovo, le parole di Tarski sono più efficaci delle mie: «It may be added that enclosing a sentence in quotation marks is by no means the only way of forming its name. For instance, by assuming the usual order of letters in our alphabet, we can use the following expression as the name (the description) of the sentence "snow is white":

the sentence constituted by three words, the first of which consists of the 19th, 14th, 15th, and 23rd letters, the second of the 9th and 19th letters, and the third of the 23rd, 8th, 9th, 20th, and 5th letters of the English alphabet. »


[7] Per una rapida descrizione del paradosso del mentitore si veda Paradosso del mentitore - Wikipedia

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1 Comment


fabrizio.festa
Apr 14, 2021

Mi limito ad osservare che anche la nozione di "verità" (e di "falsità") vanno indagate sia come suppositio formalis sia come suppositio materialis. D'altronde, nella logica proposizionale la verofunzionalità dei procedimenti è sempre tenuta distinta dalla veridicità delle affermazioni, che vanno a costituire tali procedimenti. Aristotele aveva cercato di ridurre la complessità del problema stabilendo regole astute per la costruzione dei sillogismi, a cominciare dal fatto che dovessero essere costruiti solo ed esclusivamente con proposizioni categoriche, aggettivo questo che rimanda al linguaggio giuridico e che, non è certo un caso, potremmo tradurre con sentenza: cioè un fatto passato "in giudicato" (veridicità nella condizione della suppositio materialis, ovviamente considerando sempre "vere" le sentenze emesse dai giudici). L'utilizzo dei verbi modali era…

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