A PROPOSITO DI CITAZIONI …
Proprio come Frege, avevo appena pubblicato il post su Niels Bohr quando, la sera, prima di addormentarmi, dal testo (1), leggo: «Ancora più radicale una frase popolare, ma distorsiva, in un altro passaggio, anche questa volta frutto di una libera interpretazione di Petersen: “Di fronte al problema se l’algoritmo della meccanica quantistica potesse essere considerato come qualcosa che riflette un mondo quantistico sottostante, Bohr risponderebbe: «Non esiste un mondo quantistico. Esiste soltanto una descrizione quantistica astratta. Ecc.»». Quindi, in primo luogo il fisico danese non ha mai pronunciato quelle parole, che, tuttavia, sono riportate in moltissimi libri come la sua risposta (indiretta) all’esperimento EPR; secondo, anche se interrogato, non abbiamo alcuna certezza che avrebbe risposto con quelle parole. Anzi, secondo Laudasio, indipendentemente dalle parole usate, non avrebbe espresso quel concetto.
Aage Petersen, spiega Laudasio, è stato assistente di Bohr dal 1952 al 1962. Aggiunge poi: «Petersen ha consegnato alla tradizione una descrizione della concezione di Bohr della realtà fisica in termini che si prestavano a essere interpretati in un senso anti-realistico, proponendo nel suo lavoro alcune formulazioni che non erano espressioni dirette del pensiero di Bohr, ma che sono rapidamente entrate nel circuito di una sua divulgazione superficiale.». Quindi Bohr non era anti-realista, o almeno non lo era nella maniera radicale per la quale è passato alla storia. Allora “cosa” era Bohr? Quali le sue opinioni sul “realismo”? Purtroppo, dal libro non si capisce.
Laudasio riferisce che anche l’altra celebre citazione di Bohr è frutto del pensiero dell’allievo. «Scriveva Petersen che, per Bohr, “i problemi filosofici non erano relativi né all’esistenza o alla realtà né alla struttura e ai limiti della ragione umana. Erano problemi di comunicazione. Avevano a che fare con le condizioni generali della comunicazione concettuale. Alla richiesta di cosa intendesse con ciò Bohr risponderebbe [e dallé con il condizionale!] «Da cosa dipendiamo noi esseri umani? Dalle nostre parole. Siamo sospesi nel linguaggio. Il nostro compito è quello di comunicare la nostra esperienza e le nostre idee agli altri. Dobbiamo sforzarci continuamente di estendere l’ambito della nostra descrizione, ma in modo tale che i nostri messaggi non pedano il loro carattere oggettivo e non ambiguo.»”».
LA “COMPLEMENTARITÀ”
Intere pagine del testo di Laudasio sono dedicate al “Principio di Complementarità”, ma ammetto che non mi hanno aiutato a migliorare la comprensione del pensiero del fisico danese.
Bohr espose per la prima volta questo principio in occasione delle celebrazioni del centenario della scomparsa del fisico comasco Alessandro Volta, tenutosi a Como nel 1927. Il concetto è ripreso nell’articolo “The Quantum Postulate and the Recent Development of Atomic Theory”, pubblicato Il 14 aprile 1928 su Nature.[1] Nell’articolo, come nel resto dei lavori di Bohr, non compare una formulazione precisa del principio di complementarità, assenza che ha determinato lo scatenarsi della libera interpretazione dei commentatori. Per quanto mi riguarda, la definizione migliore è quella riportata nello stemma araldico scelto dal fisico danese per la sua famiglia: contraria sunt complementa. Che deve così interpretarsi: per una corretta descrizione dei fenomeni naturali è necessario (e sufficiente?) prendere in considerazioni aspetti tra loro incompatibili. L’esempio tradizionale è il dualismo onda particella: i due aspetti sono notoriamente incompatibili, qui inteso nel senso che non possono manifestarsi contemporaneamente, e, tuttavia, per comprendere i fenomeni su scala atomica è indispensabile considerarli entrambi (separatamente).[2]
ACCOGLIENZA DA PARTE DELLA COMUNITÀ DEI FISICI
I commentatori concordano che la comunità dei fisici si mostrò, se non ostile, almeno fredda nei confronti del concetto di complementarità. Einstein, al solito misurato, commentò che “confessava di non aver compreso la formulazione del principio «Nonostante gli sforzi che gli ho dedicato»” [(1) pagina 56]. Più tranchant il giudizio di Schrödinger: «quando non si capisce una cosa si inventa un nuovo termine e si crede di averla capita» [(2) pagina 67].
Ghilardi riporta anche un commento di John Stewart Bell che ha goduto di un certo successo tra i commentatori italiani (le parti in grassetto sono le mie): «Bohr elaborò una filosofia di quello che sta dietro alle “ricette” della teoria. Anziché essere disturbato dall’ambiguità del principio, egli sembra trovarci ragioni di soddisfazione. Egli sembra gioire della contraddizione, per esempio, tra “onda” e “particella” che emerge in ogni tentativo di superare una posizione pragmatica nei confronti della teoria … Non allo scopo di risolvere queste contraddizioni e ambiguità, ma nel tentativo di farcele accettare egli formulò una filosofia, che chiamò “complementarità”. Pensava che la “complementarità” fosse importante non solo per la fisica, ma per tutta la conoscenza umana. Il suo immenso prestigio ha portato quasi tutti i testi di meccanica quantistica a menzionare la complementarità, ma di solito in poche righe. Nasce quasi il sospetto che gli autori non capiscano abbastanza la filosofia di Bohr per trovarla utile. Einstein stesso incontrò grandi difficoltà nel cogliere con chiarezza il senso di Bohr. Quale speranza resta allora per tutti noi? Io posso dire molto poco circa la complementarità, ma una cosa la voglio dire. Mi sembra che Bohr usi questo termine nel senso opposto all’usuale. Consideriamo per esempio un elefante. Dal davanti esso ci appare come una testa, il tronco, e due gambe. Dal dietro esso è un sedere, una coda e due gambe. Dai lati appare diverso e dall’alto de dal basso ancora diverso. Queste visioni parziali risultano complementari nel senso usuale del termine. Si completano una con l’altra, risultano mutuamente consistenti, e tutte assieme sono incluse nel concetto unificante di “elefante”. Ho l’impressione che assumere che Bohr usasse il termine complementare in questo senso usuale sarebbe stato considerato da lui stesso come un non aver colto il punto e aver banalizzato il suo pensiero. Lui sembra piuttosto insistere sul fatto che, nelle nostre analisi, si debbano usare elementi che si contraddicono l’un l’altro, che non si sommano o non derivano da un tutto. Con l’espressione complementarità egli intendeva, mi pare, l’opposto: contraddittorietà. Sembra che Bohr amasse aforismi del tipo: l’opposto di una profonda verità rappresenta anch’esso una profonda verità; la verità e la chiarezza sono complementari. Forse egli trovava una particolare soddisfazione nell’usare una parola familiare a tutti attribuendogli un significato opposto a quello usuale.
La concezione basata sulla Complementarità è una di quelle che io chiamerei le “visioni romantiche” del mondo ispirate dalla teoria quantistica.»
Ad una prima lettura lo trovavo convincente, ma rilettolo con più calma, parola per parola, mi è sembrato un po’ insulso. Perché un uomo dovrebbe preoccuparsi piuttosto di compiacersi dell’aver trovato un’ambiguità nella descrizione della natura? Che colpa ne ha Bohr se gli altri gli hanno attribuito un prestigio tale da citare nei loro libri il principio? Sono stati da lui remunerati per questo o hanno agito liberamente? L’esempio dell’elefante lo avrebbe condiviso anche Bohr, con l’unica precisazione che “viso” e “sedere” sono contrastanti, inconciliabilità evidenziata nella nostra lingua dalla volgare, tuttavia diffusa, espressione “hai la faccia come il culo”.
Il passo più interessante è però “Con l’espressione complementarità egli intendeva, mi pare, l’opposto: contraddittorietà”; l’osservazione è corretta, ma dimostra proprio che il concetto si applica persino al nome che gli è stato dato! Dal momento che “contraria sunt complementa” è solo questione di gusti: si può scegliere di parlare di “complementarità”, ponendo l’accento sul “complementa”, o di “contraddittorietà”, ponendo l’accento sul “contraria”. Se si fosse scelto “concetto di contraddittorietà e complementarità”, il fisico di Dublino non avrebbe avuto niente da ridire.
ACCOGLIENZA DA PARTE DELLA COMUNITÀ DEI NON FISICI
Almeno un fisico, per la verità, ebbe parole lodevoli. A pagina 197, gli autori di (3) riferiscono che «J. Robert Oppenheimer fece notare che la complementarità era uno degli insegnamenti della fisica atomica da cui trarre “analogie valide e pertinenti su problemi umani situati al di fuori dell’attuale dominio della scienza, analogie di cui si sentiva fortemente la necessità”. Oppenheimer tuttavia osservava anche che per capire l’incertezza che regna nel mondo umano possiamo rivolgerci a fonti tradizionali più efficaci della meccanica quantistica: ”Amleto l’ha descritta meglio della costante di Planck”»
Il riferimento al protagonista shakespeariano ci conduce direttamente verso l’altra faccia della medaglia: l’accoglimento del principio da parte della comunità dei NON fisici fu (ed è tuttora) un successo. Non è il caso qui di riportare la pletora di riconoscimenti - il lettore interessato li può trovare in (3). Sembrava che in tutti i campi in cui l’elemento centrale è l’uomo (psicologia, società, politica, economia, persino amore!) il principio trovasse la più ampia applicazione. L’apice è raggiunto nel seguente giudizio: «Secondo il chirurgo Leonard Shlain, autori di libri appassionati sul significato dell’arte e della scienza, “la teoria della complementarità di Bohr… sembra sfiorare lo spirituale”» [(3), pag. 203]. [3]
Azzardo l’ipotesi che ciò non sia causale, ma diretta conseguenza di un fatto sotto gli occhi di tutti e che giustifica l’opposto atteggiamento di fisici e non-fisici:
la complementarità è intrinseca alla Natura Umana
PROCESSO (STORICO) E CONDANNA DI BOHR
Due sono i capi di imputazione che pendono sulla testa di Bohr ad opera dei colleghi fisici.
Il primo è la sua “inutilità”, termine cui voglio qui dare un significato preciso: il principio di complementarità non conduce alla scrittura di alcuna equazione. Il principio di conservazione o i principi di minimo, ad esempio, conducono alla scrittura di un’equazione, per questo sono amati dai fisici. La complementarità no.
Giorgio Lulli, in (4), pagina 128, scrive: «Il carattere controverso del principio di complementarità … nascono dalla sua natura essenzialmente qualitativa. Esso non è infatti quantificabile in una formula matematica, come il principio di indeterminazione di Heisenberg». A rigori, come spiega lo stesso Lulli [(4), pagina 127] il principio di indeterminazione è una conseguenza della complementarità; quindi, la traduzione in equazione del primo lo è anche del secondo. Ci si potrebbe interrogare se la complementarità sia la traduzione in volgare della nozione matematica di operatori non-commutativi, ma credo che ci stiamo spingendo troppo lontano.
Il secondo è l’aver inquinato la Fisica con nozioni a quella estranee, peraltro aprendo la porta a commenti giudicati insulsi da parte degli Umanisti. Una sorta di breccia di porta Pia nelle mura che separa la Roma dei fisici dall’Italia degli umanisti. Giudicato colpevole del reato di alto tradimento, Bohr è stato (storicamente) esiliato dalla città dei fisici (i recenti manuali non citano neppure più la complementarità, per buona pace di Bell) e si è ritirato nel borgo montanaro dei Filosofi Naturali. [4]
Le due accuse insieme mi permettono di dare una definizione di Filosofia Naturale:
la filosofia naturale è tutto ciò che rimane della Fisica quando togliete la Matematica.
e mi permette anche di rispondere ad una domanda che mi sono sempre posto: ma ai congressi Solvay quando Bohr e Einstein si confrontavano, gli altri non avevano nulla da dire? Nessuno di loro ha alzato la mano per prendere la parola ed esprimere almeno una propria opinione? La risposta è che i due scienziati utilizzavano la meccanica quantistica come scusa per discutere di epistemologia (parlare a nuora, perché nuora intenda!), una disciplina avulsa agli interessi degli altri congressisti.
CONCLUSIONE
Vorrei concludere con la mia personale interpretazione del principio. Anni di riflessione sulla diversità mi hanno condotto a ritenere che la mente umana è in grado di percepire, o almeno di introdurre termini nel linguaggio, esclusivamente quando si trova di fronte alla diversità, qui intesa nel senso di “opposizione” (i “contraria” di Bohr, insomma). Non esistono parole per identificare qualcosa che permane nel tempo indistinguibile dal resto che lo circonda. Ogni nuovo termine che introduciamo nel linguaggio deve avere il suo contrario: buio – luce, silenzio – rumore, amore – odio, normalità – follia, ecc. [5]
La fonte della complementarità non risiede allora nell’epistemologia, quanto nella filosofia del linguaggio.
Azzardo l’ipotesi che non solo non siamo in grado di concepire l’uniformità, ma neppure di percepirla. Immaginiamo una specie che si evolve in un pianeta dove domina un ronzio di fondo (quale meravigliosa occasione per rispolverare qui la pitagorea musica delle sfere!), sempre con la stessa frequenza ed intensità. Potrebbero quegli abitanti udirne il suono? Chi di noi percepisce la pressione che l’atmosfera esercita sul nostro corpo? Eppure, si tratta di circa dieci metri di colonna d’acqua!
Di nuovo, mi sono spinto troppo lontano, pertanto, mi fermo e vi lascio con il “caso” di complementarità da me preferito.
POST CONCLUSIONE
Su gioia e dolore
Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore.
E lui rispose:
La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera,
E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso, è stato sovente colmo di lacrime.
E come può essere altrimenti?
Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere.
La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio?
E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello?
Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi ora gioia.
E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento.
Alcuni di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri dicono: "No, è più grande il dolore".
Ma io vi dico che sono inseparabili.
Giungono insieme, e se l'una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto.
In verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia.
Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi.
Come quando il tesoriere vi solleva per pesare oro e argento, così la vostra gioia e il vostro dolore dovranno sollevarsi oppure ricadere.
Kahlil Gibran da “Il Profeta”
NOTE
[1] Robert P Crease e Alfred Scharff Goldhaber in (3) riferiscono che «La redazione della rivista … prese un’iniziativa estremamente insolita: aggiungere una prefazione. Il contenuto dell’articolo, vi era scritto “è lungi dal soddisfare i bisogni del profano che cerca di formulare i propri concetti in un linguaggio figurativo … Francamente, c’è da sperare che questa non sia l’ultima parola [dei fisici quantistici] sull’argomento, e che possano riuscire a formulare il postulato quantistico in una forma più espressiva”». Il commento alla prefazione di Pauli ve lo andate a leggere da soli …
[2] Giorgio Lulli in (4) spiega in maniera chiara e concisa un merito di Bohr: «Bohr, che nel 1927 era direttore dell’Istituto di fisica teorica di Copenaghen dove Heisenberg era ospite, si rese conto che la conclusione [il principio di indeterminazione nella sua formulazione originale N.d.A.] del suo giovane allievo era superficiale, e non prendeva in considerazione tutti gli aspetti del problema. … L’indeterminazione è quindi causata dalla doppia natura corpuscolare-ondulatoria del fotone; il disturbo dovuto alla misurazione non è, come pensava Heisenberg, la causa prima dell’indeterminazione.».
Nell’attuale visione la “funzione d’onda” ha poco in comune con il modo di propagazione di un’onda nel senso classico del termine. In particolare, la funzione d’onda di un sistema di più particelle non è data dalla sovrapposizione delle funzioni d’onda delle singole particelle come se fossero isolate.
[3] inevitabile in (3) il riferimento alla dialettica degli opposti, quindi a Eraclito, Hegel, … tuttavia penso l’analogia non sia appropriata. Tra i “contraria” vi è incompatibilità, non lotta, e non vi è sintesi, ma armonia. Più interessante è il suggerimento che il fisico danese si fosse ispirato alla pittura cubista (da non confondere con il QBism!), della quale sembra fosse appeso un esempio sulle pareti di casa sua.
[4] Dove, tuttavia, non è stato accolto a braccia aperte. Karl Popper e Hans Reichenbach, ad esempio, non ritennero che la complementarità fosse una nozione molto significativa. Suggerisco a Bohr di chiedere asilo in qualche circolo esoterico dove l'affermazione "l’opposto di una profonda verità rappresenta anch’esso una profonda verità" non desterebbe meraviglia alcuna.
[5] nel creare la struttura di una tabella, ad esempio, non si aggiunge mai un campo che assume, per tutti i record della tabella, lo stesso valore, il quale si assume per dato dall'entità che la tabella rappresenta.
BIBLIOGRAFIA
(1) Federico Laudisa, Dalla fisica alla filosofia naturale – Niels Bohr e la cultura scientifica del novecento, Torino, Bollati Boringhieri, 2023.
(2) Gian Carlo Ghilardi, Un’occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, 2015.
(3) Alfred Goldhaber, Robert P. Crease. Ogni cosa è indeterminata, Torino, Codice edizioni, 2019
(4) Giorgio Lulli, L'esperimento più bello. L'interferenza di elettroni singoli e il mistero della meccanica quantistica, Apogeo education, 2013.
Comments