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francescofst

CONTRIBUTI PER LA FONDAZIONE DI UN CIRCOLO DEL LOGOS

Aggiornamento: 8 mar 2022


«Un giorno, al Trinity College, negli anni Trenta, Erdös e mio marito Harold erano seduti in un luogo pubblico. Rimasero per oltre un’ora immersi nelle loro riflessioni senza pronunciare parola. Poi, ad un certo punto, Harold ruppe il lungo silenzio e disse: “Non è zero; è uno.” I due uomini furono sopraffatti dalla gioia. La gente intorno a loro li prese per pazzi. Naturalmente lo erano.»

Hoffmann, “L'uomo che amava solo i numeri”, Mondadori 2000, pagina 10


La lettura del racconto “Al circolo del Logos” pubblicato da mio fratello ha stimolato in me l’interrogativo di come dovrebbe funzionare, alla luce di duemila anni di logica, un simile circolo.

L’amico Filippo, già citato altrove, raccontava che a casa sua talvolta suonava il telefono, lui andava a rispondere, alzava la cornetta e, dall’altra parte del filo, qualcuno diceva “Cavallo in E otto”: si trattava di una persona che giocava a scacchi per telefono. L’aspetto rilevante di questo aneddoto è che quello non provava alcuna necessità di avviare la conversazione con i soliti convenevoli, come “Buongiorno, sono Paolo …”, o di intrattenersi in questioni “profane”, ma pronunciava “sic et simpliciter” la sua prossima mossa in puro linguaggio scacchistico. Ecco, nella realtà la migliore approssimazione che mi sovviene di un “circolo del Logos” potrebbe essere un circolo degli scacchi e, tuttavia, trattandosi di un consesso umano, immagino che anche colà via spazio per dare sfogo ai difetti dell’umana natura. Nel circolo del Logos che io vorrei, al contrario, i soci si esprimono esclusivamente in accordo alla sintassi di un linguaggio formale; non c’è spazio per la discussione, ma solo per la derivazione, il calcolo, la generazione di segni in accordo alle regole di produzione insomma.

Osservazione: in tal senso, si potrebbe porre una distinzione tra “circoli di tipo “λόγος”, come quelli da me immaginati, e circoli di tipo “δόξα” (l’opinione, notoriamente deprecata da Parmenide) nei quali, come nello studio di un talk show televisivo e nel summenzionato racconto, gli uomini si accaniscono nel discutere nell’illusione di raggiungere una verità per definizione inesistente.
Osservazione: il riferimento al circolo degli scacchi risente della nota analogia contenuta in “Apologia di un matematico” di Godfrey Harold Hardy.

Emblematico, in tal senso, l’aneddoto riportato nell’incipit in cui uno dei due matematici, trascorsa un’ora nel più completo silenzio, comunica al collega l’esito della condivisa meditazione: zero e non uno. Silenzio che, si badi, necessario per la corretta elaborazione di una nuova formula, la farebbe da padrone in un simile ambiente (infatti i giocatori di scacchi rimangono per la maggior parte della partita in silenzio e che contrasta con il vociare e l'urlare dei circoli di tipo doxa)

Osservazione: inquietante l’analogia tra questo e il racconto “I gemelli” contenuto in “L’uomo che scambio sua moglie per un cappello” di Oliver Sacks. Nel racconto due soggetti “ritardati mentali” manipolano numeri … ma lasciamo parlare il medico britannico [il grassetto è mio e non compare nell’originale]: «... essi avevano aggiunto la “scomposizione in fattori primi” del numero 111, senza avere alcun metodo. Non avevo già osservato che erano incapaci di eseguire i calcoli più semplici e che non “capivano” (o parevano non capire) che cosa fosse la moltiplicazione o la divisione? Eppure ora avevano spontaneamente diviso un numero composto in tre parti uguali. … Riflettei sulla questione, ma non venni a capo di nulla. E poi me ne dimenticai. Me ne dimenticai finché non si verificò un secondo episodio, spontaneo e magico, al quale assistei per puro caso. Questa volta i gemelli sedevano vicini in un angolo, con un sorriso misterioso e segreto sul volto, un sorriso che non avevo mai visto prima, paghi dello strano piacere e della pace che parevano aver raggiunto. Mi avvicinai in silenzio per non disturbarli. Sembravano avvinti in una straordinaria conversazione puramente numerica. John diceva un numero, un numero di sei cifre. Michael afferrava il numero, annuiva, sorrideva e pareva assaporarlo. Poi diceva a sua volta un numero di sei cifre offrendolo a John, che a sua volta lo gustava con soddisfazione. Facevano pensare, a tutta prima, a due esperti assaggiatori intenti a degustare vini rari di annate prestigiose. Immobile e non visto, io ero ipnotizzato e stupefatto.
Che diavolo stavano facendo? Che roba era quella? Non ci capivo nulla. Forse era un gioco, ma aveva una gravità e un'intensità serena, meditativa, quasi religiosa, che non avevo mai osservato in nessun gioco, e sicuramente mai nei gemelli, di solito così esagitati e confusi. Mi accontentai di prendere nota dei numeri che dicevano, di quei numeri che palesemente procuravano loro una tale gioia e che essi “contemplavano”, assaporavano, condividevano in una comunione profonda.
Erano numeri dotati di un qualche significato? mi chiesi tornando a casa. Avevano un qualche senso «reale» o universale, oppure anche solo un senso esclusivamente privato o stravagante, come i buffi «linguaggi» segreti che ci si inventa a volte tra fratelli?». Tornato a casa, il medico scoprirà che «Tutti i numeri che i gemelli si erano scambiati, numeri di sei cifre, erano primi, cioè divisibili solo per se stessi e per l'unità
Il giorno seguente tornai al reparto portando con me il prezioso libro dei numeri primi. Li trovai di nuovo appartati in comunione numerica, ma questa volta mi sedetti accanto a loro in silenzio. Dapprima ne furono sorpresi ma, vedendo che non li interrompevo, ripresero il loro «gioco» con i numeri primi di sei cifre. Dopo qualche minuto decisi di unirmi anch'io e arrischiai il mio numero, un numero primo di otto cifre. Si voltarono entrambi di colpo con un’espressione di intensa concentrazione e forse di stupore sui volti. Ci fu una lunga pausa, la pausa più lunga che gli avessi mai visto fare, mezzo minuto o anche più; poi, d'improvviso e simultaneamente, sorrisero.
Dopo chissà quale processo interno di verifica, avevano riconosciuto il mio numero di otto cifre come numero primo e ne avevano provato chiaramente una grande gioia, una doppia gioia: in primo luogo, perché gli avevo offerto un nuovo e bellissimo giocattolo, un numero primo di un ordine di grandezza da loro mai incontrato prima; e poi perché era evidente che avevo capito ciò che stavano facendo, che mi piaceva, che lo ammiravo e potevo prendervi parte. Si scostarono un po' per farmi posto in mezzo a loro: ero un nuovo compagno di giochi numerici, una terza presenza nel loro mondo. [Rispetto ai casi precedenti, per i quali quel sorriso testimoniava che la formula era ben formata, qui si aggiunge il valore di superamento della prova da parte del nuovo venuto che chiede di partecipare al gioco, una vera e propria iniziazione insomma. N.d.A.]. Poi John, che prendeva sempre l'iniziativa, pensò a lungo, almeno cinque minuti, durante i quali non osai né muovermi né quasi respirare, e alla fine tirò fuori un numero di nove cifre. Dopo una pausa identica, suo fratello Michael rispose con un numero simile. Toccava a me: diedi uno sguardo furtivo al libro e proclamai sfacciatamente un numero primo di dieci cifre. Il silenzio questa volta fu ancor più lungo e stupefatto; poi, dopo una potevo né controllarlo né rispondere perché il mio libro, unico nel suo genere per quanto ne so, non andava oltre i numeri primi di dieci cifre. Ma Michael sì, anche se gli ci vollero cinque minuti. E un'ora più tardi i gemelli si scambiavano numeri primi di venti cifre, o così almeno credo, dato che non avevo modo di verificarlo.»
Ecco, i gemelli che conversano scambiandosi numeri primi senza alcuna consapevolezza del loro significato, raggiungono, per quanto ne so, l’apice di una conversazione secondo il Logos.

Concessioni al linguaggio naturale sarebbero consentite solo nei casi in cui il circolo si debba rapportare con il mondo esterno, ad esempio nel redigere l’annuale rendiconto economico o nello Statuto (per il quale, come insegna l’episodio dell’esame per l’ottenimento della cittadinanza statunitense sostenuto da Kurt Gödel, certo qualcuno solleverebbe la questione della coerenza e completezza. Tra l’altro, qualcuno sa se i giudici della Corte Costituzionale si sono mai posti l’analoga questione per la nostra costituzione?).

Osservazione: in un circolo molto raffinato, immagino lo statuto scritto in logica modale deontica. E comunque il primo articolo sarebbe lo stesso di un circolo normale: per qualsiasi s tale che s è un socio è obbligatorio il pagamento della quota associativa annuale; il mancato versamento determinerà l'applicazione del connettivo "non" allo stato di socio.

Ulteriore concessione la farei per l’uso della semantica, il che permetterebbe gustose conversazioni quali quelle sotto riportate:
Conversazione 1:
Tizio: “pi o non pi”
Caio: “vero!”
Conversazione 2
Tizio: “pi e non pi”
Caio: “Mi sembra che ti stai contraddicendo …”

Le espressioni di uso comune, ad esempio “Con permesso, devo andare in bagno”, sarebbero ovviamente codificate. A differenza delle normali associazioni, nelle quali i soci ambiscono a ricoprire cariche istituzionali, in un circolo del Logos degno di tal nome, parafrasando Paul Erdős, vige la regola: “Qualcuno ha detto che la carica di presidente sia prestigiosa, per me è solo una seccatura”.


Il circolo cui ambirei a diventare socio tuttavia sarebbe quello in cui il linguaggio formale si esprime attraverso il linguaggio del corpo; non dunque segni grafici o vocali, ma attraverso gesti esibiti in forma corale. Una ritualità forse complessa, certamente codificata ma in maniera tale da esprimere sempre nuove rappresentazioni, che, a differenza di quella religiosa o esoterica, dovrebbe essere rigorosamente vuota, priva di significato insomma. E pure in assenza di questo, vi sarebbe sempre spazio per la bellezza.

Osservazione: anche in questo caso, si possono trarre analogie dalla realtà. Penso, ad esempio, ai dervisci rotanti (il che spiega la foto di testata) o a quelle danze medievali o rinascimentali, o anche più prossime a noi, eseguite sotto la rigida conduzione del “Maestro di dançare”. Riporto qui un brano reperito in rete [il grassetto è ancora mio]: «Guglielmo Ebreo da Pesaro, rinomato maestro di danza, arriva a sostenere che la danza è un’arte e una scienza [più precisamente, “logos”]: "questa tal virtute e scinzia essere di grandissima e singulare efficacia, et alla umana generazione e amicissima e conservativa, sanza la quale alcuna lieta e perfetta vita essere infra gli uomini già mai non puote. La virtute del danzare è una azione dimostrativa di fuori di movimenti spirituali li quali si ànno a concordare colle misurate e perfette consonanze d'essa armonia".»
Osservazione: se la memoria non mi tradisce, un riferimento letterario che più si avvicina al circolo che io immagino dovrebbe trovarsi nel “Il giuoco delle perle di vetro”, di Hermann Hess. Anche lì, un Magister Ludi conduce il gioco, garantendo il rispetto delle regole. E, casomai non si fosse notato, dagli scacchi a questo, tutti gli esempi sottolineano l’aspetto ludico, di gioco insomma cui un circolo del Logos dovrebbe attenersi, onde evitare qualsiasi contaminazione di natura profana (il rapporto tra logos e gioco richiede tuttavia un approfondimento dedicato). Notevole che la pagina italiana di Wikipedia dedicata a quel romanzo si concluda con «L'idea generale del gioco potrebbe anche essere paragonata all'idea di Mathesis universalis sviluppata da Gottfried Wilhelm von Leibniz». Ed al filosofo tedesco dovrebbe necessariamente intitolarsi il circolo che immagino.
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